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Tra gli olivi oltre venti secoli di storia

Il piccolo insediamento di San Vito, nel comune di Passignano sul Trasimeno, subito ad est: qualche casa, una chiesa e una sorta di campanile che non ha mai avuto campane, forse un faro che non ha mai ricevuto la luce necessaria per esserlo. 

A sud la strada regionale 75 bis del Trasimeno, ad ovest proprietà terriere di altri soggetti, anche queste ricoperte da olivi. A nord una piccolissima quanto antica borgata, oggi denominata «Borgo Monte Luce», ma nella mappa catastale del 1847 il vocabolo era «Palazzo».

I confini della proprietà sulla mappa del catasto Gregoriano – 1847

Tra questi confini si trova un oliveto simile a tanti altri. Ben curato e privo di erbacce, difficilmente si potrebbe pensare che in esso, tra gli alberi, sono racchiusi oltre venti secoli di storia. Un vero e proprio scrigno.
Non molti gli ettari di terreno, in tutto intorno ai 7 e mezzo, che in apparenza non sembrano dire alcunché, ma se si guarda tra queste piante emergono cose e storie non certo trascurabili. Primi fra tutti i frammenti che restituisce il terreno ogni volta che viene lavorato: si tratta di ceramica e laterizi d’epoca romana.

I documenti catastali in cui sono riportati i proprietari del mulino per la macina delle olive

Se ci si sposta di qualche centinaio di metri in linea d’aria verso nord, vi è pure la presenza di una villa romana, detta di Quarantaia dalla vicinanza a questo vocabolo. Scavata all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, sono ancora visibili parte delle fondamenta dell’impianto.

 

Ma non sono soltanto questi resti a raccontare la storia, vi è anche un monolite di consistenti dimensioni, probabilmente un’ara per la premitura della pasta di olive spalmata sui fiscoli.

Non si sa, con precisione, se quest’ara sia coeva ai frammenti rinvenuti oppure sia successiva, ma certo è che tali frammenti si trovavano proprio nei pressi di questa. Alla metà del Trecento, al confine con l’oliveto o comunque non troppo lontano dallo stesso, è attestata la presenza di un molino per la macina delle olive che ha finito per dar vita a dei vocaboli quattrocenteschi ai quali se ne aggiunge uno di metà Ottocento ubicato a meno di un centinaio di metri in linea d’aria dall’oliveto.

Ai nomi di luogo della fine del medioevo El Molino da Lolio (sic), El Molino Vechio (sic) e Valle de[l] Molino, a distanza di oltre tre secoli, si era sostituito Molino, lungo la strada che conduce alla chiesa di San Vito, tra l’incrocio e la struttura religiosa. Dire che si è in presenza di una zona vocata alla coltivazione dell’olivo e, soprattutto, alla produzione dell’olio, è più che legittimo, anche perché quello prodotto al lago Trasimeno era molto apprezzato fin dall’età di mezzo.

Non si ha la certezza che questa tradizione olearia affondi le sue radici fin nell’antichità, anche se nella villa romana di certo si consumava questo prodotto, ma la consistente presenza delle piante d’olivo fin dal secolo XIV e quella del mulino per l’olio nello stesso periodo, non sono certo elementi trascurabili. Si tratta dunque di una tradizione che si è andata consolidando nella prima età moderna quando qui, a San Vito, nella seconda metà del Seicento il monastero perugino di Santa Maria di Monteluce era proprietario di un molino per l’olio, ad uso dei poderi di cui lo stesso disponeva in questa parte del Trasimeno. 

A questo monastero, in piena età moderna, si aggiungerà anche quello di Sant’Agnese, anch’esso di Perugia, che come l’altro era proprietario di un molino per l’olio, ubicato circa un chilometro e mezzo a sud di San Vito, al confine tra il comune di Passignano e quello di Magione. 

 

L’area oggetto di studio nel catasto Chiesa – 1730

Ma in questa zona non erano soltanto gli enti religiosi a detenere terreni olivati, li possedevano anche soggetti di spicco della Perugia medievale, come membri della famiglia Della Corgna, in particolare Teseo e Pier Filippo, sul finire del Quattrocento, a cui si aggiungerà Orazio all’inizio del Settecento. I Michelotti, Teo e due suoi figli, Roberto e Michelotto, nella seconda metà del secolo XIV, i quali erano proprietari di un palazzo all’interno del castello di Monte Ruffiano la cui torre domina ancora, dall’alto, la zona dell’oliveto di cui ci si sta occupando.

Intestazione miniata del catasto di Pier Filippo Della Corgna e di Teseo Della Corgna
Intestazione miniata del catasto di Pier Filippo Della Corgna e di Teseo Della Corgna
Intestazione miniata del catasto di Pier Filippo Della Corgna e di Teseo Della Corgna
Intestazione miniata del catasto di Pier Filippo Della Corgna e di Teseo Della Corgna

In questo stesso periodo delle proprietà in zona le deteneva anche un membro della famiglia Vincioli, Alessandro di Pellolo, nel 1361 condannato alla pena di morte in contumacia per aver tentato di rovesciare il governo perugino. Sforza di Guido Degli Oddi, vi aveva beni nella seconda metà del secolo XV; a lui subentrerà la moglie, Isabetta Baglioni, come sua erede. In ultimo sono da ricordare le proprietà qui detenute da Averardo di Guido Montesperelli sul finire del Quattrocento.

I documenti catastali in cui sono riportate le proprietà dei Michelotti nel castello di Monte Ruffiano

Grandi proprietari terrieri, in questa zona, sono menzionati anche alla metà del secolo XIX, quando compaiono i fratelli Stanislao e Costantino Nicolai, fortemente legati allo Stato Pontificio. Enti religiosi e proprietari laici hanno finito per dar vita in questa zona ad una realtà estremamente vivace, quasi «benedetta» sotto il profilo agricolo per la sua esposizione a sud e per la fertilità del suolo.

Intestazione miniata del catasto di Averardo di Guido Montesperelli
Intestazione miniata del catasto di Averardo di Guido Montesperelli

Essi sono stati in grado di mettere in campo sinergie tali che hanno fatto di quest’area una sorta di laboratorio, i cui frutti sono ancora visibili e si possono toccare con mano. Qui, più che altrove, costoro sono riusciti a sperimentare tecniche e cultivar olivari soprattutto nei due periodi d’oro dell’olivicoltura nel perugino, vale a dire nella prima età moderna e all’inizio del secolo XIX. 

La mappa del territorio perugino di Giovanni Antonio Magini (1604-1610
La mappa del territorio perugino di Giovanni Antonio Magini (1604-1610)

Ciò si ebbe in concomitanza con l’arrivo dei monaci olivetani in Isola Polvese – non è un caso che alcune piante che si trovano in questo oliveto siano presenti anche sulla collina isolana –, e con la forte promozione della piantagione di alberi d’olivo da parte dello Stato Pontificio nei primi decenni dell’Ottocento, stato con il quale erano fortemente legati i fratelli Nicolai. Fu forse in questo contesto che si ebbe la piantagione di specie pressoché uniche nella zona ed ora, grazie alla volontà del suo proprietario, l’oliveto sta tornando ad essere quella sorta di laboratorio che è stato in passato, con l’intento di migliorare ulteriormente la qualità dell’olio prodotto dai suoi frutti.

* Circa le notizie qui riportate si veda G. Riganelli, Oltre Venti secoli di storia in neanche due chilometri quadrati di territorio, relazione storica allegata alla presente.
La mappa del territorio perugino di Giovanni Antonio Magini (1604-1610
La mappa del territorio perugino di Giovanni Antonio Magini (1604-1610)